Archivio mensile:Maggio 2024

Contributo ai Sinodi dalle Comunità Cristiane di Base italiane

Alla Segreteria Generale del Sinodo dei Vescovi
Alla Conferenza Episcopale Italiana


Carissimi fratelli vescovi,

come Comunità cristiane di base italiane, sentiamo importante accogliere il vostro invito a percorrere insieme un cammino sinodale, che veda la partecipazione ed il contributo di tutti e tutte, un cammino – come si legge nel documento preparatorio del Sinodo universale – che sia un “processo ecclesiale partecipato e inclusivo, che offra a ciascuno – in particolare a quanti per diverse ragioni si trovano ai margini – l’opportunità di esprimersi e di essere ascoltati per contribuire alla costruzione del Popolo di Dio”.

In questo spirito e con la speranza che questo Sinodo possa davvero essere un momento di autentico ascolto reciproco, vogliamo qui portare il nostro contributo.

Non è la prima volta che vi scriviamo in questo percorso sinodale. Alcune singole comunità hanno già inviato un loro contributo specifico al Sinodo, che racconta il cammino e le scelte che hanno fatto, frutto di approfondimenti biblici e dei momenti storici che si sono trovate a vivere. Inoltre abbiamo contribuito ad elaborare e vi abbiamo inviato proposte firmate insieme ad altri numerosi gruppi e realtà della Chiesa, che si sono messi in rete per condividere un pezzo di cammino sinodale, in particolare tre lettere, del maggio e dell’ottobre 2021 e l’ultima del 22 febbraio 2022 sul tema LGBT+.

Qui, come movimento delle Comunità cristiane di base nel suo insieme, ci limitiamo ad evidenziare i nodi che consideriamo essenziale sciogliere e che crediamo richiedano un radicale ripensamento da parte della nostra Chiesa sulla propria presenza e missione evangelizzatrice nella società, senza il quale la distanza sempre più percepita tra insegnamento del Magistero e vita delle persone seguiterà inevitabilmente a crescere.

Prima vogliamo però dire qualcosa di noi.

Le Comunità cristiane di base italiane (CdB) sono nate dall’intreccio tra gli stimoli scaturiti dal Concilio Vaticano II e il profondo desiderio di libertà che animava tante donne e tanti uomini del “neonato” Popolo di Dio. Le intuizioni innovative del Concilio, purtroppo non sviluppate, anzi represse negli anni successivi, hanno ispirato il nostro cammino e la nostra ricerca di fede, nel faticoso tentativo di mettersi alla sequela di Gesù e di vivere il messaggio evangelico nella nostra realtà di oggi.

Un cammino sinodale, il nostro, che dura da più di 50 anni, che non si è lasciato scoraggiare dalle chiusure praticate dalla gerarchia vaticana nei decenni successivi al Concilio; in questo cammino è sempre stato centrale il rispetto dei percorsi plurali delle singole comunità, collegate in rete.

Le strade su cui la nostra sequela di Gesù si è sviluppata e prosegue possono essere così schematicamente illustrate:

Riappropriazione comunitaria della Parola. È sempre stato centrale per noi lo studio della Bibbia, basato sul metodo storico-critico, per comprendere il testo calandolo nel periodo e nella cultura in cui è stato scritto, e sull’ermeneutica del sospetto, per far emergere parole, pensieri e profezie di donne, da un testo scritto da uomini che costringe il più delle volte le donne all’invisibilità e alla marginalità. Un approfondimento del testo che non è fine a sé stesso, ma che meglio ci permette di calarci dentro le nostre vite e di condividere con la comunità, partendo ciascuno e ciascuna da sé, le nostre riflessioni personali e i nostri vissuti, spingendoci ad interrogarci sul cambiamento di vita e la conversione che il messaggio evangelico ci chiede. Perché le donne passino dal silenzio e dalla sottomissione alla libertà e all’autodeterminazione, gli uomini dalla violenza della cultura patriarcale al riconoscimento della pari dignità di tutti gli esseri viventi, e perché per tutti e tutte siano centrali la solidarietà, la condivisione, il rispetto di tutte le differenze e l’impegno nelle lotte di liberazione. Questa ci pare la strada credibile e praticabile per l’affermazione della giustizia e della pace.

Riappropriazione comunitaria dei ministeri. Alla luce dell’insegnamento evangelico sui ministeri, intesi come servizio a cui discepoli e discepole sono invitati/e nei confronti della comunità, nelle CdB abbiamo cercato e ancora cerchiamo, non senza fatica e contraddizioni, di vivere comunitariamente i servizi necessari e utili, riconoscendo e valorizzando i carismi e le competenze di ognuno e ognuna. La formazione personale è frutto di ascolto, studio, scambio, riflessione e riconoscimento reciproco.

Riappropriazione comunitaria dei sacramenti. Le pratiche sacramentali, pur nella diversità delle varie esperienze comunitarie, hanno acquisito a poco a poco nel tempo la funzione di riti di inserimento, accompagnamento e consolidamento nella vita della comunità.

Centrale, in ogni CdB, è l’Eucarestia, memoria viva e costante dell’invito di Gesù a fare come lui, a spezzare il nostro corpo, a mettere la nostra vita a servizio delle persone che incontriamo e che hanno bisogno di aiuto, di solidarietà, di amore, ad immergerci nella quotidianità, riflettendo sui fatti sociali del nostro tempo alla luce dei principi evangelici e superando così la distinzione tra sacro e profano.

L’amore è celebrato, in particolare, nei riti matrimoniali, liberati dai limiti imposti da dottrine omotransfobiche, che riteniamo contrarie al “grande comandamento” evangelico dell’amore universale.

Le differenze tra le pratiche sacramentali delle diverse CdB dipendono anche dalla scelta di corrispondere ai desideri delle persone e delle famiglie: c’è chi vive il Battesimo come ingresso nella Chiesa cattolica, mentre per altri/e è la “presentazione” di figli e figlie alla comunità. La confessione individuale dei peccati è da molto tempo sostituita da forme diverse di confessione comunitaria, accompagnata dalla celebrazione del perdono. Infine, anacronistico è diventato, per le CdB, il sacramento dell’Ordine, proprio in conseguenza e funzione della centralità che, per la nostra vita di fede, ha via via assunto la dimensione comunitaria.

E veniamo ai nodi che auspichiamo i due Sinodi, pur nelle loro differenze, affrontino:

  • Nel momento in cui scriviamo, nel quale la guerra è arrivata in Europa, vorremmo che ci fosse un pubblico ed esplicito “mea culpa” per la benedizione degli eserciti e delle armi spesso impartita da parte di singole conferenze episcopali. In particolare, per la Chiesa italiana, sarebbe un importante segno di testimonianza rinunciare al privilegio concordatario di avvalersi di cappellani militari inquadrati nell’esercito con gradi di ufficiali ed offrire semplicemente il servizio di assistenza spirituale senza inquadramento nei ruoli militari.
  • È necessario un ripensamento dei ministeri nella Chiesa come servizio al Popolo di Dio, aperti a uomini e donne: il ruolo delle donne nella comunità, il servizio che intendono offrire, non possono che essere lasciati alla loro scelta. L’esclusione delle donne dalla presidenza della Cena del Signore è il segno di una Chiesa che ha dimenticato la parità voluta da Gesù, la sua scelta inaudita e scandalosa, ai suoi tempi, di circondarsi, oltre che di discepoli maschi, di un gruppo di donne, prime testimoni della sua resurrezione.
  • Un’accoglienza delle persone LGBT+ che chieda loro di mutilarsi della propria sessualità e della possibilità di viverla non è una vera accoglienza. C’è bisogno di cancellare il marchio di sporco e di peccato impresso su di loro e sulla loro sessualità da secoli di dottrina cattolica. Non considerare le nuove conoscenze che ci vengono dalla scienza, e seguitare a parlare nel catechismo di “atti di omosessualità intrinsecamente disordinati”, fa violenza sulle persone, le incolpa per ciò che sono, le umilia e tradisce il messaggio di amore e misericordia di Gesù. Non ci sono gli “atti”, ci sono le persone con la loro dignità, i loro amori e la loro sessualità, dono di Dio. Lasciamo che quel dono si possa esprimere perché le tante forme di amore ci raccontino l’amore a tanti colori di Dio.
  • La questione della pedofilia del clero, emersa in questi anni in molti Paesi, ha visto una diversa risposta da parte delle conferenze episcopali nazionali. Riteniamo necessario e urgente che in tutta la Chiesa la questione venga affrontata in tutti i suoi aspetti e che le conferenze episcopali, come la CEI, che non hanno ancora istituito commissioni indipendenti dalle gerarchie per esaminare il comportamento delle varie diocesi nelle loro nazioni, lo facciano al più presto.
  • Chiediamo che la Chiesa cattolica si faccia promotrice della fratellanza che deve legare tutte le Chiese cristiane, aprendosi alla ospitalità eucaristica verso tutti i seguaci dello stesso Gesù di Nazareth. Questo porterebbe serenità in tutti e tutte a partire dalle famiglie formate da coniugi appartenenti a Chiese di confessioni diverse.
  • Esprimiamo la speranza di trovare, come Chiesa, il coraggio di riguardare con onestà, alla luce del Vangelo, il percorso fatto negli ultimi cento anni almeno, riconoscere gli errori, chiedere perdono a coloro che sono stati offesi ed esclusi. Imparare a dire “abbiamo sbagliato”: una parola di verità per poter essere credibili in quello che diciamo.

Le Comunità Cristiane di Base italiane

Immacolata Concezione

UN DIO MADRE E PADRE IMMACOLATA CONCEZIONE (Manni Beppe Gazzeta di Modena 8 X 21)

L’8 dicembre è la solennità dell’Immacolata Concezione. E’ una festa di precetto, “comandata”. Con l’obbligo per i cattolici, di andare a messa. Pochi sanno il significato di questa ricorrenza, non solo i più giovani ma anche la maggioranza delle persone che hanno perso il contatto con le nostre tradizioni religiose. L’Immacolata Concezione è un dogma voluto da Pio IX nel 1854: il credente è cioè obbligato a credere che Maria per il suo privilegio di essere madre di Gesù, è senza la macchia (macula) del peccato originale fin dal concepimento. Bernadette nel 1858 in una grotta a Lourdes, avrebbe visto una signora biancovestita che affermava di essere appunto l’immacolata concezione. Da qui la costruzione del santuario sui Pirenei frequentato da milioni di fedeli.

La venerazione a Maria è molto antica ma non antichissima. Nei vangeli poco si parla della Madre di Gesù. Solo dopo il Concilio di Efeso del 431 che definì Maria Teotocos, genitrice di Dio, fiorì una devozione che nei secoli si è sempre più allargata. Fino ad arrivare all’inno di lode che ne fa Dante nell’ultimo canto del Paradiso, prima della visione della Trinità: “Vergine Madre, figlia del tuo figlio – umile e alta più che creatura…- tu se’ colei che l’umana natura – nobilitasti sì che ’l suo Fattore – non disdegnò di farsi sua fattura”
Con il trascorrere dei secoli ci sono state esagerazioni, che rasentarono l’idolatria e la superstizione. Con la moltiplicazione di presunte apparizioni e rivelazioni di segreti. Come a Medjugorje, dove tre sedicenti veggenti ogni mese da 40 anni  si inventano un Messaggio di Maria (che appare a comando) pieno di  luoghi comuni e banalità teologiche. Già i protestanti con Lutero avevano ridimensionata la figura di Maria presentandola solo come una sorella, testimone di fede. Anche il concilio Vaticano II rivisitò il suo ruolo consigliando di togliere nelle chiese gli altari nelle cappelle laterali dedicate a Maria, per la centralità del crocefisso e dell’altare mensa.

Ma perché la devozione alla Madonna ha avuto tanto seguito tra i cattolici? Nella liturgia, nelle preghiere, nelle raffigurazioni appaiono più madonne che crocefissi. Il rosario è la preghiera più recitata dai cattolici. Penso che Maria rappresenti il volto femminile e materno di Dio che tradizionalmente è stato raccontato nelle scritture e dalla iconografia, specialmente nelle tre religioni monoteistiche gestite da sacerdoti e scribi maschi, come un vecchio dalla barba bianca e dal volto severo (cfr Michelangelo), più portato a giudicare e punire che accogliere e perdonare. Anche se nella bibbia ebraica e nei vangeli si parla di un Dio padre. Il popolo nella sua fede istintuale vede nella Madonna, il dio-madre, la vera terza persona della Trinità, dopo il Padre, il Figlio. Una madre, dolce e comprensiva, vicina a chi tribola e soffre in questa valle di lacrime.

lettera al Vescovo

Febbraio 2011 – LETTERA aperta della comunità al Vescovo di Modena

Abbiamo bisogno di sentire l’eco delle parole di Gesù nelle parole dei Vescovi!

Caro vescovo Antonio, siamo un gruppo di cristiani della Chiesa di Modena e ci rivolgiamo a lei perché è il nostro pastore. Sappiamo che il suo ruolo e il suo ministero è proprio quello di ascoltare, confortare, tenere unito il gregge, cioè guidare il popolo cristiano e aiutarlo a vivere nella fede, nella speranza e nella carità. Vogliamo quindi esprimerle alcune nostre gravi preoccupazioni, con semplicità ma anche con tutta franchezza.

Siamo preoccupati perché vediamo il nostro Paese scivolare sempre più in una crisi generale, vissuta da molti con disperazione e senza vie d’uscita, crisi che rischia di compromettere l’unità stessa della Nazione, nei suoi aspetti istituzionali, politici e sociali. E la disperazione non è una virtù cristiana.

Siamo sconvolti perché vediamo la classe politica che governa questo paese sprofondare sempre più nel degrado morale, nell’arroganza dell’impunità, nella ricerca del tornaconto personale e dei propri amici, nel saccheggio della cosa pubblica e nella distruzione sistematica delle basi stesse del vivere civile e democratico.

Siamo indignati perché questa stessa classe politica al governo ha ingannato e continua a ingannare i poveri con false promesse, con un uso spregiudicato e perverso dei mezzi di comunicazione, con l’esibizione ostentata di modelli di comportamento radicalmente contrari al comune sentimento morale della nostra gente. Pian piano sono riusciti a corrompere il cuore e le menti dei più semplici. Guai a chi scandalizzerà questi piccoli…!

Ma la preoccupazione maggiore, in quanto credenti, riguarda la nostra Chiesa e in particolare i nostri Vescovi. Ecco i pensieri che ci fanno star male e che manifestiamo a cuore aperto.

sappiamo che i vertici della CEI e gli ambienti della curia vaticana hanno deciso già da tempo di appoggiare la maggioranza di destra ancora oggi al governo. È opinione sempre più diffusa, anche tra i cattolici credenti e praticanti, che questa alleanza sia frutto di accordi di potere, volti a ottenere privilegi per la Chiesa e legittimazione per il governo. Vale la pena di compromettere la credibilità dell’annuncio del Vangelo e l’immagine della Chiesa per un piatto di lenticchie?

In nome di questo sostanziale accordo si sono di fatto avallate politiche, alcune di stampo prettamente xenofobo, del tutto contrarie non solo al Vangelo ma anche alla dottrina sociale della Chiesa. Per denunciare questa deriva molte voci si sono alzate nel mondo cattolico, sempre ignorate o censurate o minimizzate. Non appartengono forse anche questi ai cosiddetti “principi non negoziabili”?

Neppure adesso, quando l’abisso morale e lo stile di vita inqualificabile dello stesso presidente del consiglio sono sotto gli occhi di tutto il mondo, neppure adesso i vertici della CEI trovano la forza e la dignità di pronunciare parole chiare, di uscire dalle deplorazioni generiche che riguardano tutti e quindi nessuno, di usare finalmente il linguaggio evangelico del sì sì, no no.

In ben altro modo fu trattato l’ultimo governo Prodi, debole ma onesto e capace, di ben più alto profilo morale, che non solo non fu sostenuto ma venne addirittura osteggiato, forse proprio perché più libero, sicuramente più laico e quindi meno disponibile ad accordi sotto banco. Vogliamo rivendicare con forza questo fatto: molti di noi, cattolici credenti e praticanti, hanno sostenuto quell’esperienza politica, condividendone fatiche e speranze e anche delusioni. Di certo ci ha molto ferito l’ostracismo di allora come ci ferisce la complicità di adesso.

Occorre che ci si renda conto davvero che alla base della Chiesa sta aumentando il disagio, il dissenso, la sofferenza, il lento e silenzioso abbandono. L’amara sensazione di molti, giusta o sbagliata, è che i pastori hanno tradito il loro gregge, hanno preferito i morbidi palazzi di Erode alla grotta di Betlemme, hanno colpevolmente rinunciato alla profezia. E questo non fidarsi di Dio, tecnicamente, è un comportamento ateo.

Avanziamo una piccola proposta, che può sembrare provocatoria, della quale lei stesso potrebbe farsi portavoce: la CEI e il Vaticano dichiarino pubblicamente di rinunciare all’esenzione del pagamento dell’ICI sulle proprietà della Chiesa che siano fonti di reddito; che abbiano il coraggio di dire di no a questa proposta scellerata. Acquisterebbero un po’ di stima e credibilità, perché questo, fra i tanti, è uno scandalo che grida vendetta.

Caro vescovo Antonio, preghiamo insieme perché lo Spirito ci aiuti tutti a una vera conversione, a un saper ritornare sui nostri passi, a riscoprire la dimensione di un servizio povero e disinteressato, a seminare gioia e bellezza e speranza, nella libertà e nella verità.

La comunità cristiana di base del Villaggio Artigiano
Modena, febbraio 2011

PS: Questa lettera è una lettera aperta e sta già circolando nella nostra città tra cattolici e tra persone che comunque hanno a cuore queste questioni. Non abbiamo alcuna intenzione di raccogliere firme, tuttavia sappiamo che nei suoi contenuti essenziali essa è largamente condivisa da tantissimi.

don Fortunato Provvisorio

Foto CB

al secolo don Carlo Bertacchini

Biografia

Ieri alla ore 10 è morto, all’ospedale di Formigine all’età di 77 anni, don Carlo Bertacchini parroco di Morano.

Don Carlo era nato a Cognento nel 1933. Andò in seminario all’età di 11 anni a Nonantola. Ordinato prete dal vescovo Cesare Boccoleri nel 1956, fece il cappellano a Formigine, Collegara e Vignola. Diventò parroco di Cassano e poi di Morano che resse come arciprete per 47 anni. Fu toccato da tragedie familiari: suo fratello Livio morì a 45 anni e sua sorella Vera a 42. Ma ciò che lo faceva soffrire maggiormente era stata una certa incomprensione dei suoi confratelli preti, che non capirono pienamente le sue parole e  scelte legate alla parola del vangelo.

Da qualche anno era ammalato, era così tornato nel suo paese natale  ospite della Casa del Clero di Cognento. La sua lunga via crucis è terminata dopo essere stato tre mesi all’ospedale di Baggiovara.

La sua formazione teologica era stata caratterizzata dalla tradizionale dottrina del Concilio di Trento. Il Concilio Vaticano II rinnovò profondamente il suo impianto tradizionale teologico. La sua vita di prete e parroco pian piano cambiò. Carlo datava la sua seconda conversione all’età di 50 anni. Diventò così un testimone della radicalità del vangelo. Le sue parole e le sue scelte crearono qualche imbarazzo tra i preti e tra i cattolici più tradizionalisti della sua parrocchia. Diceva che amava la madre chiesa ma proprio per amore voleva “darle uno strattone” perché si risvegliasse e fosse fedele al Vangelo. La Religione doveva trasformarsi in Fede e ‘la dimensione verticale’ la liturgia e le preghiere, doveva diventare ‘dimensione orizzontale’ ossia amore per i poveri e capace di trasformare la società. La canonica era il luogo dove si incontravano ragazzi, giovani e adulti. Aveva organizzato un incontro mensile a cui partecipavano non solo i moranesi ma “amici-discepoli” da Modena, Sassuolo, Formigine, Reggio e Sassuolo. Lo seguivano e lo aiutavano insieme ai parrocchiani specialmente nell’annuale raccolta per i lebbrosi del Brasile che affidava all’amico prete don Arrigo Malavolti. Sono rimasti impressi nella mente dei ragazzi e degli adulti, i cartelloni che scriveva e appendeva davanti alla chiesa e davanti all’altare, sulla pace e sulla fraternità. Le feste tematiche sulla pace e la povertà. Ma specialmente i corsi di catechesi biblica per i ragazzi, per gli sposi, per gli adulti, perchè diventassero cristiani adulti e consapevoli.

Don Carlo è stato un buon pastore; la canonica era aperta a chiunque voleva fermarsi, tutto quello che aveva e riceveva lo condivideva. E’ stato un umile testimone della fede e della parola del vangelo nella povertà, nell’amore e nella sofferenza. Ha creduto all’utopia insegnata da Cristo.

Amò il paese di Morano, sperduto villaggio della montagna. Organizzò le feste paesane, il carnevale a tema per i ragazzi, costruì un piccolo capannone per ospitare incontri e feste. Per anni girò con il pulmino a raccogliere i bambini per il catechismo. Come altri parroci della montagna, per trattenere i montanari dall’esodo, aveva allestito un piccolo laboratorio per fabbricare ceramiche artistiche. Lui stesso dotato di genialità artistica le disegnava e le costruiva, insieme a collaboratori locali.

Nel suo testamento che ha consegnato ai familiari e a un gruppo di amici, aveva lasciato dettagliate disposizioni per il suo funerale. Si era già fatto costruire la cassa che teneva in casa, da un falegname suo amico: all’interno c’erano i vestiti in borghese coi quali voleva essere rivestito dopo la sua morte, il cristo da tenere tra le mani al posto del classico rosario e duecento copie del suo testamento spirituale che saranno distribuiti al suo funerale. Desiderava una messa celebrata nella sala riunione la sera prima e poi chiedeva provocatoriamente un “funerale civile” cioè in mezzo alla sua gente senza più passare dalla chiesa per annunciare questa sua ultima verità: la chiesa, i vescovi e i preti devono stare in mezzo al popolo.

Il suo funerale, anche se non corrisponderà in pieno alle sue intenzioni espresse nel testamento, avrà queste tappe: messa nella chiesa di Cognento alle ore ***poi a Morano circa alle ore 10 una liturgia della parola d’addio sul piazzale della chiesa tra il suo popolo e i suoi amici che potranno esprimere un loro ricordo nella preghiera. E poi sarà sepolto nel tranquillo cimitero di Morano tra sua sorella Vera suo fratello Livio.

Alla fine della messa diceva “La messa non è finita. Andate come portatori di pace non violenta”

Epitaffio scritto da don Carlo nel suo testamento per essere esposto nelle parrocchie dove è passato

Oggi ***  è tornato al Padre

Carlo Bertacchini

che saluta e ringrazia tutti

chiede perdono dei peccati di omissione a tutti

e dice a tutti, sulla parola di Gesù

ARRIVEDERCI

E il più tardi possibile  perché la vita

È un dono MERAVIGLIOSO

Il funerale civile avrà luogo….

Testamento Pastorale di don Fortunato Provvisorio

Nel 1998 don Carlo Bertacchini aveva pubblicato il ‘Testamento Pastorale di un parroco di montagna’ e ‘Ave Maria di un parroco di montagna’ (Gabrielli Editore, si trova alla Tarantola di Modena). Si firma Don Fortunato Provvisorio per ricordare che si sente fortunato per aver scoperto briciole di verità, ma la verità è ancora provvisoria in attesa della Verità con la maiuscola. Immagina che sia una lunga lettera dall’aldilà quando finalmente tutte le cose sono più chiare. Don Carlo ripercorre la sua vita, sottolinea le contraddizioni nelle quali spesso è caduta la chiesa. “A 40 anni ho fortunatamente trovato la triplice chiave della mia vita: conversione permanente, primato della Parola e filo a piombo cioè non essere in contraddizione con la coscienza” e ancora “La chiesa non forma uomini di fede, ma cattolici solo ‘informati’ e religiosi, cioè che conoscono dogmi e precetti, dei consumatori di riti, preghiere e sacramenti”. “Amo il papa, i vescovi e i cardinali come fratelli…ma il mio dissenso globale e profondo sta nel fatto che come maestri di fede …non abbiano dato e non danno il primato alla Parola (del vangelo) ma alle tradizioni” “Pazienza che sia un asino di campagna (come me) ma che siano proprio i cavalli di razza., laureati e plurilaureati, vestiti di bianco rosso e paonazzo o in clergyman, a frenare la carretta del Regno di Dio non riesco a digerirlo. E’ questo il mio magone”.

La sua teologia  e la sua pastorale la si può riassumere in questi punti

1- La chiesa dopo Costantino e Teodosio (Secolo IV) è diventata una religione di stato; si è alleata con il potere e allontanata dal pensiero di Gesù che voleva una comunità povera e impegnata per i poveri. Per essere credibile deve rinunciare ai privilegi, allo stato e alle ambasciate.

2- La chiesa non deve essere solo ‘verticale’ (preghiera e liturgia) ma ‘orizzontale’ impegnata cioè,  nel sociale tra gli uomini: i religiosi ‘contemplativi’ dovrebbero sì pregare, ma spendere metà del loro tempo in mezzo alle sofferenze del mondo.

3- La chiesa e i cristiani devono impegnarsi per la pace e la difesa non violenta. Condannare tutte le guerre e gli armamenti. I Cappellani militari sono in contraddizione con le parole di Gesù.

4- Bisogna ritornare come la chiesa primitiva a battezzare solo adulti ‘consapevoli’ come dice Gesù: “Andate e predicate chi crederà allora sarà battezzato”. Don Carlo considerava una violenza il battesimo ai bambini; si dichiarava obiettore di coscienza. Non battezzava da anni i bambini della parrocchia. Se le famiglie lo chiedevano, lui chiamava altri sacerdoti.  La cosa più giusta era che i genitori ‘presentassero’ i neonati alla chiesa e aspettare che decidessero poi loro divenuti adulti.

5- La conversione del cattolico avviene attraverso il passaggio dalla religione alla fede.

6- Maria la madre di Gesù è santa non perché è una statua da venerare nelle chiese, ma perché ha applicato le umili parole di Gesù.

7- E’ urgente cambiare “…il metodo della tradizionale pastorale è fallimentare” ad esempio le tradizionali pratiche cattoliche: Candele, processioni, benedizioni, liturgie, preghiera del rosario ecc. La notte di pasqua veniva consegnata ai capofamiglia della parrocchia una boccettina di acqua battesimale: dovevano essere loro a benedire la casa “Io quando vado nelle famiglie, scrive, vado a benedire con la Parola di Dio, per evitare il sacro commercio delle buste che è tanto redditizio specie nelle ricche parrocchie della città”.

Don Carlo nella sua “lettera dall’aldilà” rimprovera amabilmente i così detti dottori della Chiesa come S. Agostino, S. Tomaso, per le loro teorie della guerra giusta e del battesimo ai bambini e a Santa Teresina del Bambin Gesù contesta la validità di una vita passata tutta in convento. Anche papa Papa Voitila per le sue alleanze con i potenti, ha avuto un comportamento ambiguo da “polacco tradizionalista integralista”.

Nel suo testamento avrebbe voluto addirittura un “funerale civile” che non significava irreligioso. Era “ una piccola provocazione profetica”. Don Carlo infatti ha vissuto da uomo di fede e da buon prete parroco. Ha amato la chiesa e proprio per questo vorrebbe ‘dare uno strattone’ alla madre chiesa per svegliarla dal suo letargo. “Ora perdonatemi un’esclamazione spontanea di un parroco matto-morto: coraggio cara madre chiesa, svegliati dal tuo sonno plurisecolaree predica l’amore vero…nel sociale”. Dopo la messa nella sala della parrocchia il giorno del funerale vorrebbe andare direttamente al cimitero quasi per sottrarsi alle maglie delle liturgie, delle benedizioni e degli incensi ed essere consegnato solo alla sua gente, alla sua famiglia e alla nuda terra di Morano che lui ha veramente amato. Senza fiori ma solo la croce verde della speranza e un’offerta nella cesta per i lebbrosi di Goiania.

Lettere

Ogni settimana don Carlo spediva una lettera raccomandata da Morano, al Presidente della Repubblica e al Papa (segretario di Stato Vaticano) due lettere raccomandate, firmate da lui e dal Movimento Pace di Morano. Oggetto ‘Richiesta disarmo atomico-chimico-betteriologico’ era un documento che aveva già spedito alla corte internazionale dell’Aia. “Lo faccio per amore dell’umanità, scriveva don Carlo, che si trova a un bivio: in futuro il pianeta sarà un giardino o un deserto (Gioanni Paolo VI)” e chiedeva: “Una confederazione democratica mondiale di tutti gli stati…la difesa popolare non violenta organizzata dei popoli…disarmo universale controllato… nucleare, chimico e batteriologico… riconversione bellica mondiale… eserciti civili mondiali… economia di giustizia globale… autodeterminazione dei gruppi umani…una lingua unica, l’esperanto, perché gli uomini possano comunicare”. E nella conclusione accusava presso la corte dell’Aia di reato colposo internazionale contro la Pace e l’Umanità, gli stati che possiedono armamenti nucleari, chimici e batteriologici.

Nel 1995aveva scritto una lettera aperta all’ordinario militare, il vescovo dei militari. Denunciava, la logica antievangelica degli eserciti e della presenza in essi dei cappellani e dei vescovi militari. Denunciava in particolare la mancata decisa condanna delle gerarchie degli armamenti nucleari e il silenzio sulla prassi della non violenza che deriva dalle parole di Gesù dell’amore verso al nemico e del non uccidere.

Beppe Manni